Mi ero iscritto alla specialistica, avevo deciso di restare in Calabria, avrei già voluto andarmene, feci anche domanda al personale ATA lì, prendendo in giro me stesso, perché pensavo che ci sarebbe potuta essere ancora una speranza.
Girovagavo, facevo sport, camminavo, cercando risposte. La verità è che avevo la testa piena di grovigli, ma ancora ignoravo che la verità è che questi non erano tutti nati da me.
Io non ci avevo capito un cazzo di niente, e siccome non potevo parlare con chi dovevo, mi sono messo a cercarle dentro di me, quelle risposte, chissà se poi è vero che sono sempre tutte lì.
Trovai le mie distrazioni, anche qualche altra ragazza, qualche altra scopata, ma erano solo quello.
Notai infatti che ormai sentivo il cuore spento, sembrava molto spesso che fosse morto ed io ero lì, a cercare di resuscitare un morto a dirgli:
- Dai, cazzo. Prova qualcosa, fallo, per favore.
Nessuna risposta da parte sua.
E allora anche se le altre persone continuavano comunque a volermi bene, io non sempre provavo quelle sensazioni, anche se penso che una parte di me lo facesse… eppure molto spesso notai che alcune cose le facevo quasi in automatico, d’istinto.
Per un periodo della mia vita fu quello a prevalere: momenti in cui diamo la priorità ai sentimenti, alla rabbia, a cose ben poco razionali, cercando disperatamente di sfogare le nostre mancanze usando il corpo: mangiando, bevendo, facendo sesso…
E non riuscivo a guardarmi dentro come avrei voluto.
Ci fu una notte estiva in cui le cose iniziarono a cambiare, in un modo inaspettato mi invitarono a mangiare baccalà al ristorante “da Bruno”, proprio quello del paesino di Paola, accettai, avevo la sensazione che ormai mi stava passando, mi sembrava di essere ripreso a ridere e stavo con gli amici, tranquillo, spensierato.
L’estate è di grande aiuto, in quei casi.
Eppure, dopo un po’, mi lasciai trascinare dalla nostalgia e un po’ con la scusa che avevo bisogno di smaltire la cena, cominciai a camminare, rischiando magari di essere visto proprio da lei, temendo un po’ che si sarebbe fatta l’idea sbagliata… ma non era per Paola che lo stavo facendo, ma per me.
Camminando giunsi proprio nei pressi di casa sua, e misi nelle orecchie un disco che mi aveva accompagnato a lungo in quel periodo:”Addio, a Domani” di Don Diegoh, in cui molte canzoni parlavano di una sua ex, e io mi sentivo connesso a quelle.
Con “Ladri in Casa” nelle orecchie, proseguii per la strada, e vidi un panorama che non era capitato di guardare spesso, dato che ogni volta che andavo lì, l’unica cosa di cui mi occupavo era solo lei.
Un vasto orizzonte, pieno di luci, e di foto da fare.
“Arrivi all’improvviso, come ladri in casa mia
E ti prendi le chiavi dei cazzi miei
E senza alcun preavviso
Tu vuoi una pausa? Pausa sia
Ma ridammi le chiavi dei cazzi miei
Come ladri in casa mia
Ma ridammi le chiavi dei cazzi miei”
Arrivai ad un piazzale, facente parte di casa sua, un campo. Notai qualcosa in mezzo ad esso, era un animale di pezza.
Niente che gli avessi regalato io, forse era di qualche suo ex, mi dissi. Poi risi, perché magari non era di Paola, magari era finito lì chissà come.
Però pensai che fosse un peccato che si smarrissero oggetti in giro.
In realtà gli animali così, ci fanno ricordare quei film o scenari tragici in cui muoiono tutti, e soprattutto i bambini. E ci pensiamo, perché in fondo, sono scene che ci fanno pensare che l’infanzia venga brutalmente uccisa.
Mi misi a piangere, e capii che dovevo fare un percorso ben diverso. Pensavo che mi fosse passata, ma la verità era che mi ero distratto con amicizie ed altre cose, dovevo trovare un altro modo, dovevo stare da solo.
“Per non cercarti mai più io sono andato lontano
Per non pensarti ho spento i sensi, tant’è
Che i giorni mo sono un viaggio solo bagaglio a mano
E più nessuno qui mi parla di te
Un pianoforte di carta tocca le corde dell’anima
Una musica nuda fatta di nuvole e fumo
Un bicchiere di ghiaccio per conservare una lacrima
E un biglietto a chilometri per andare a fanculo”.
…
“Oggi ha piovuto di brutto, ma ero coperto
A raccogliere il meglio di me”.
Verso fine agosto, uscii per l’ultimo sabato sera, da solo, con delle birre in uno zaino e rimasi da solo in un piazzale dove stavamo spesso con lei e iniziai a parlarmene, su una panchina poco illuminata.
Iniziai a elaborare, a scoprire la verità, pensando inizialmente che dovessi sforzarmi per dimenticarla, o qualcosa di simile.
Ma era finalmente l’istante in cui stavo riprendendo lentamente ad usare il cervello, a riprendere la razionalità. Dopo quella volta, rinunciai a bere, e passai la maggior parte del tempo in casa, uscivo solo per passeggiare, da solo, o fare corsa.
Non chiamai più nessuno, decisi di scomparire.
Era decisamente troppo tardi per avere un basso profilo, per sperare che magari, se qualcuno non mi vedeva, si sarebbe tranquillizzata, ma come sempre, lo feci per me.
Come ho detto, ripresi la razionalità, ragionavo sulle cose in una maniera praticamente scientifica, e ridevo, perché ora che mi accorgevo quanto potessi essere in quel modo, mi ricordavo di quando un amico che quando smettemmo di parlarci con Paola, e fungeva “da tramite”, diceva che era una persona “molto razionale”.
Ridevo, in maniera isterica, sguaiata, poi sempre più seria ed amara diventava quella risata, nata tra lo spontaneo e l’artificiale.
Era chiaro ormai, come il sole, che se fosse stata davvero così razionale come dicevano, invece di fare come aveva fatto, vomitandomi addosso tutta quella rabbia, avrebbe dovuto avere il ruolo della persona che ragionava, e invece… anche lei, giustamente era stata presa dai sentimenti.
E mentre ci ragionavo, capii quante cazzate mi avevano detto, iniziai a sospettare che il suo “migliore amico”, avesse detto qualcosa a mio discapito, per screditarmi ai suoi occhi, e questo me lo faceva pensare qualche messaggio che mi ero scambiato con il suddetto…
Sì, alla fine credo che lui puntasse a lei, e che avesse praticamente cospirato alle mie spalle.
Ricordai quando da ragazzino, l’attuale ragazzo della mia prima cotta, mi avesse spinto perché ci stavo parlando, insieme agli altri compagni di classe.
Ai tempi ero inesperto, un po’ più buono di oggi, il cuore non si era ancora indurito così tanto; ma era chiaro che ero sempre stato un fastidio, mi ero sottovalutato, evidentemente.
In fondo non c’è nulla che fa più paura di una persona diversa dalle altre, che vive a modo suo, usando il cuore, rischiando tutto, nessuno ha più il coraggio di farlo, di metterci il massimo.
E stavo sempre dentro camera mia a pensare, e a volte sul balcone, anche spesso con la musica ad accompagnarmi:
“Alla tua vita ci pensi mai? Nelle stazioni dei benzinai
Dove riposano gli autobus, apro una busta piena di guai”
Bacia la notte che se ne andrà
Quando mi ignori, tu mi migliori
E a volte camminavo anche sul balcone, ogni tanto mi portavo una birra a farmi compagnia, affacciandomi nel silenzio della notte.
Avevo bisogno di stare da solo, a lungo, perché volevo trovare tutte le risposte, o comunque il modo per guarirmi.
Un giorno, alla fine, superato il penultimo esame che mi mancava per finire la specialistica, mi comprai una birra, andai a bermela in giro, perché il luogo in cui stavo da solo era “occupato”, e affrontai di nuovo gli argomenti.
La notte stessa, di inizio ottobre, sul balcone bevetti un altro paio di birre, faceva freddo, ma continuavo a camminare.
Finalmente, capii quanto ero stato male, quanto stavo uscendo da un periodo pieno di tristezza, di depressione, in cui mi ero buttato sui vizi, in cui avevo pensato cose molto brutte, a volte anche a…
Hai cercato la capacità di amare
Ma non hai mai trovato la capacità di amarti
E poi hai lasciato che più niente capitasse
Che il niente ti aiutasse, che il niente ti bastasse
Hai pregato per provare questo niente
Ma tu non sei un eroe né un fuoriclasse (Ah)
Finché un giorno di dicembre su un balcone
Tu sei salito su una lavatrice
Hai guardato in basso da quel terzo piano
E hai pensato: “Se ti butti, sei felice”
Ora però non avevo più questi pensieri, ne ero finalmente uscito fuori, e mi commossi, per esserci riuscirt…e tra le lacrime capii una grande verità, tra le tante che stavo capendo in quel periodo:
che nella vita, alla fine, non è vero che perdiamo qualcuno, non completamente. Ogni persona che c’è entrata dentro, ci resterà, perché in fondo alcuni atteggiamenti, gestualità, modi di pensare, anche in modo inconsapevole, sono entrati dentro di noi in maniera indelebile.
Non si deve dimenticare nessuno, perché fanno parte di noi, ricordi, sentimenti, e tutto quello che esiste sottopelle.
E al mio cuore, a cui davo la forma della donna, che comunque, ancora amavo, mi auguravo che Paola potesse razionalizzare come facevo io.
In fondo, le persone non si fermano a riflettere, a confrontarsi, tutte preferiscono dare sfuriate, accusare le altre persone, non sapere e non capire dove sbagliano, preferiscono pensare di avere ragione senza farsi troppe domande, e usano la rabbia come scudo.
Sì, scudo, perché la loro “arma” è solo a doppio taglio. E cosa resta di tutto questo, se non cuori spezzati da riprendere come puzzle, e un gruppo di macerie, che bisogna ricostruire?
L’umanità, che sceglie sempre come soluzione l’irrazionale violenza. La rabbia.
Ora sapevo come andare avanti, portandomi quindi, tutto quello che avevo vissuto, dentro.
Ecco perché non avevo cancellato nessuna delle nostre foto insieme, perché è una presa in giro: rabbia, litigi, separazioni o meno, niente cancella ciò che hai vissuto,
mai.
E quindi, non devi dimenticare, ma accogliere ciò che fa parte di te, e portarlo con te, per sempre.
- Un Piromane in ferie 2, introduzione, FINE.
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