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Per il resto del viaggio, Marco rimase solo, non parlò con nessuno dei suoi vicini di posto, passò il tempo tra svariati tipi di musica, consumandosi le orecchie.
Aveva soltanto un profondo desiderio di stare da solo, come se un qualsiasi altro contatto, lo facesse sentire come “infetto”.
Tale “infezione”, era qualcosa che sentiva all’interno di sé. Molto spesso poteva capitare di avere dei malori fisici, causati dal proprio stato mentale.
Come quando ti senti la febbre, ma non ce l’hai. Anche se starnuti tantissimo, e ti fa male la testa.
Ma niente: la temperatura rimane sui 35-36 gradi.
Si sentiva come se solo in quei momenti, si stesse accorgendo di tutto quello che gli era successo, si sentiva come avvolto da qualcosa più grande di lui: forte, ed oscuro.
Al tempo stesso, quella misteriosa sensazione, lo faceva sentire tranquillo. Come se non ci fosse nulla di male, nel lasciarsi andare alle sensazioni e pensieri negativi.
Dopo tantissimo tempo, si lasciò andare: fece entrare quel buio dentro di sé: “la libertà di odiare.”
Ovvero quando puoi immaginare, senza alcun freno, di poter fare del male a qualcuno: cose che nella realtà non faresti mai: quei pensieri talmente crudi, selvaggi e personali… che tentano.
Ribelli, a ogni imposizione sociale. Lontano da qualsiasi “come LORO mi vogliono vedere”.
<< Si sa, in fondo. >> Si disse, << ogni pensiero del genere, se uscisse fuori, sarebbe condannato. E io stesso dovrei farlo. Ma non ci riesco. So che mi sentirò in questo modo, appena arriverò lì.>>
Si godette la pace che gli donavano questi pensieri: la serenità di poter stare senza maschere, almeno con sé stesso.
In fondo sapeva, che continuare così per troppo tempo, sarebbe stato pericoloso.
Era ormai il tramonto, quando giunse finalmente a casa. Aveva guardato tutta l’Italia dal finestrino, con cambiamenti di paesaggi, di aria… montagne e mare.
Momenti di confusione era quello che aveva. E poco altro.
<< La vita è un tiro di dadi, eh? Forse dovrei prenderne uno anche io.>>
Cosa avrebbe dovuto fare dei legami che aveva creato durante tutti quegli anni? Le persone incontrare, le esperienze? Era una fuga da qualcosa?
Non si possono abbandonare delle amicizie solo perché si cambia città, o cancellare le esperienze fatte durante gli anni universitari, cancellandoli come se non fossero mai esistiti.
Cosa si deve fare della parte della propria vita, dalla quale ci si separa?
Arrivò infine nella sua città, come d’accordo, vide il suo amico Vincenzo che era venuto a prenderlo.
Si sorrisero a vicenda appena incrociarono gli sguardi. Il suo vecchio amico d’infanzia aveva cresciuto un po’ di barbetta, ed era dimagrito dall’ultima volta che lo aveva visto.
Si abbracciarono fraternamente, e cominciarono a chiacchierare allegri.
Vincenzo era uno dei pochi di cui Marco si fidasse veramente.
Amici da una vita, si erano sempre capiti l’un l’altro. Ed era cosa rara, in quei posti lì. La Calabria è piena di persone che pensano più a giudicare che a credere nelle persone, in loro stessi, e dare supporto morale.
Invece, ci si perde in discussioni, dove nessun consiglio dato, è veramente utile.
Perlomeno, è quello che credeva Marco.
A Vincenzo invece piaceva la semplicità di quella vita tra il mare e la montagna, la campagna e la città.
Quel limbo di una società che vuole apparire come fosse molto più grande di quello che è. Quando i suoi abitanti, per la maggior parte, non sono che operai, contadini e lavoratori senza quasi mai lo stipendio adatto a tutto quello che facevano.
Vincenzo si accorse piuttosto in fretta della tristezza dell’amico, ma decise di essere discreto, e parlarono di cose leggere, come il calcio, e la vita del paese.
Infine Marco arrivò davanti a casa sua, e come tutte le altre colte lo assalì quella sensazione tipica di chi ritorna a casa dopo tanto tempo…
Eppure, stavolta era diverso: aveva un sapore amore come di…
Fallimento.