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Lo scrittore Volante

  • Un Piromane in Ferie – Parte 4

    ottobre 9th, 2020

    Link parti precedenti:

    1: https://loscittorevolante.wordpress.com/…/un-piromane…/

    2: https://loscittorevolante.wordpress.com/…/un-piromane…/

    3: https://loscittorevolante.wordpress.com/…/un-piromane…/

    Per il resto del viaggio, Marco rimase solo, non parlò con nessuno dei suoi vicini di posto, passò il tempo tra svariati tipi di musica, consumandosi le orecchie.

    Aveva soltanto un profondo desiderio di stare da solo, come se un qualsiasi altro contatto, lo facesse sentire come “infetto”.

    Tale “infezione”, era qualcosa che sentiva all’interno di sé. Molto spesso poteva capitare di avere dei malori fisici, causati dal proprio stato mentale.

    Come quando ti senti la febbre, ma non ce l’hai. Anche se starnuti tantissimo, e ti fa male la testa.

    Ma niente: la temperatura rimane sui 35-36 gradi.

    Si sentiva come se solo in quei momenti, si stesse accorgendo di tutto quello che gli era successo, si sentiva come avvolto da qualcosa più grande di lui: forte, ed oscuro.

    Al tempo stesso, quella misteriosa sensazione, lo faceva sentire tranquillo. Come se non ci fosse nulla di male, nel lasciarsi andare alle sensazioni e pensieri negativi.

    Dopo tantissimo tempo, si lasciò andare: fece entrare quel buio dentro di sé: “la libertà di odiare.”

    Ovvero quando puoi immaginare, senza alcun freno, di poter fare del male a qualcuno: cose che nella realtà non faresti mai: quei pensieri talmente crudi, selvaggi e personali… che tentano.

    Ribelli, a ogni imposizione sociale. Lontano da qualsiasi “come LORO mi vogliono vedere”.

    << Si sa, in fondo. >> Si disse, << ogni pensiero del genere, se uscisse fuori, sarebbe condannato. E io stesso dovrei farlo. Ma non ci riesco. So che mi sentirò in questo modo, appena arriverò lì.>>

    Si godette la pace che gli donavano questi pensieri: la serenità di poter stare senza maschere, almeno con sé stesso.

    In fondo sapeva, che continuare così per troppo tempo, sarebbe stato pericoloso.

    Era ormai il tramonto, quando giunse finalmente a casa. Aveva guardato tutta l’Italia dal finestrino, con cambiamenti di paesaggi, di aria… montagne e mare.

    Momenti di confusione era quello che aveva. E poco altro.

    << La vita è un tiro di dadi, eh? Forse dovrei prenderne uno anche io.>>

    Cosa avrebbe dovuto fare dei legami che aveva creato durante tutti quegli anni? Le persone incontrare, le esperienze? Era una fuga da qualcosa?

    Non si possono abbandonare delle amicizie solo perché si cambia città, o cancellare le esperienze fatte durante gli anni universitari, cancellandoli come se non fossero mai esistiti.

    Cosa si deve fare della parte della propria vita, dalla quale ci si separa?

    Arrivò infine nella sua città, come d’accordo, vide il suo amico Vincenzo che era venuto a prenderlo.

    Si sorrisero a vicenda appena incrociarono gli sguardi. Il suo vecchio amico d’infanzia aveva cresciuto un po’ di barbetta, ed era dimagrito dall’ultima volta che lo aveva visto.

    Si abbracciarono fraternamente, e cominciarono a chiacchierare allegri.

    Vincenzo era uno dei pochi di cui Marco si fidasse veramente.

    Amici da una vita, si erano sempre capiti l’un l’altro. Ed era cosa rara, in quei posti lì. La Calabria è piena di persone che pensano più a giudicare che a credere nelle persone, in loro stessi, e dare supporto morale.

    Invece, ci si perde in discussioni, dove nessun consiglio dato, è veramente utile.

    Perlomeno, è quello che credeva Marco.

    A Vincenzo invece piaceva la semplicità di quella vita tra il mare e la montagna, la campagna e la città.

    Quel limbo di una società che vuole apparire come fosse molto più grande di quello che è. Quando i suoi abitanti, per la maggior parte, non sono che operai, contadini e lavoratori senza quasi mai lo stipendio adatto a tutto quello che facevano.

    Vincenzo si accorse piuttosto in fretta della tristezza dell’amico, ma decise di essere discreto, e parlarono di cose leggere, come il calcio, e la vita del paese.

    Infine Marco arrivò davanti a casa sua, e come tutte le altre colte lo assalì quella sensazione tipica di chi ritorna a casa dopo tanto tempo…

    Eppure, stavolta era diverso: aveva un sapore amore come di…

    Fallimento.

  • Un Piromane in Ferie – Parte 3

    ottobre 4th, 2020

    Link parti precedenti:

    1: https://loscittorevolante.wordpress.com/…/un-piromane…/

    2: https://loscittorevolante.wordpress.com/…/un-piromane…/

    L’aria del treno si riempì in fretta di aria condizionata, era quasi luglio.

    Per passare il tempo, Marco decise di ascoltare inizialmente un po’ di musica, aprì la sua libreria, passò le mani su tutte quelle canzoni d’amore che aveva ascoltato negli ultimi tempi.

    Dato che non aveva ancora nessuno vicino a sé, decise di ascoltarne una:

    “ Chissà se parli di me e come parli di me

    Chissà se, chissà se

    Chissà se imparerò che non puoi imparare da me

    Chissà se, chissà se

    Chissà se parli di noi chissà se è quello che vuoi

    Chissà se, chissà se

    Chissà se capirò che non basta bere perché

    Chissà se, chissà se…”

    (Axos – Amanti di)

    Non si rese nemmeno conto che le qualche lacrima gli sfregiò il viso, fino a quando non arrivò alle labbra, e sentì il suo salato sapore.

    Era stato con gli occhi chiusi in quei pochi istanti, e solo quando cambiò brano, che si rese conto di avere un uomo accanto a sé.

    Sembrava essere più grande di lui di almeno una decina d’anni. Aveva avuto l’impressione che lo guardasse, ma ora aveva totalmente distolto lo sguardo.

    Senza dire una parola, Marco decise di ignorare quel fatto, cambiò del tutto genere musicale:

    “ Quanto costa una mela?

    Costa un sacco di botte.

    Se mi faccio picchiare un pochino

    La darebbe al bambino?

    Se la metterà in testa senza neanche capire

    Così lei con le frecce si potrà divertire.”

    (Lucio Dalla – Treno a Vela)

    Dopo un po’ di tempo, l’uomo lo guardò di nuovo, e non distolse lo sguardo.

    Marco ricambiò lo sguardo, si fissarono per qualche istante: come se tutti e due aspettassero di dire qualcosa, senza mai capire cosa.

    L’estraneo fu il primo a parlare:

    • Si torna a casa?
    • Sì. – Rispose Marco, secco.
    • Dove?
    • Calabria.
    • Ah… ci vado spesso in vacanza. È veramente un bel posto, sì. Molto sottovalutato. È vero: è piena di difetti, sporca, selvaggia e molto rustica. Tuttavia, è il luogo adatto per chi vuole andare via dal caos urbano.
    • Sta andando in vacanza ora?
    • Oh no, non ancora. Mi fermerò a Roma. – Si interruppe, grattandosi il naso. – Ah, mannaggia. Che brutto andare avanti con l’età. Una volta non avevo ‘sti maledetti peli nel naso. Tu lo hai?
    • No… ho ancora venticinque anni.
    • Ah, giovane. Bene.

    Passarono alcune ore a chiacchierare, l’impressione che Marco ebbe di quel tizio, era criptica. Non capiva cosa pensasse veramente.

    Marco rivelò di essere un neo-laureato in criminologia, e stava tornando a casa, cercando di schiarire le idee.

    Era una confidenza che non voleva fare ad uno sconosciuto, ma in fondo, che importanza aveva? Non lo avrebbe rivisto.

    L’altro rispose:

    • Vedi. È tutto un tiro di dadi. Tu li lanci, o lo lanci… – l’uomo tirò fuori un dado dalla tasca e lo lanciò sul tavolino del treno. Uscì 3. – Il tiro rappresenta la scelta. Le conseguenze però, non si possono controllare. Dipende, in fondo, dal risultato.
    • Non è un po’ fatalista?
    • Tutt’altro. Vedi, il lancio del dado è la scelta, ma le conseguenze sono cose che non vengono sempre controllate da noi. Anche non fare niente è una scelta che comporta conseguenze. Pensa se tu, giovane, dici a qualcuno quello che provi: a una donna che la ami, o che le vuoi bene. Quello è il tuo tiro di dadi.  Tu ti aspetteresti da parte sua un “anche io ti amo”, o “ti voglio bene”, e il resto. Potrebbe anche non fare nulla, essere imbarazzata, non fare trasparire le reali emozioni. Anche quelle sono scelte, son tiri di dado. Naturalmente, lo stesso discorso vale per quando studi un esame, e vai a farlo. Il tuo studio contro il voto dell’esame, il tuo curriculum, contro il datore di lavoro.

    La vita è una serie di scelte, ma non tutte spettano a noi. faber est suae quisque fortunae, ma fino a che punto?

    Marco rimase il silenzio, strinse istintivamente i braccioli del sedile. Parlare di donne in quel momento, anche indirettamente, era come veleno. Parlarono d’altro, ma quel discorsi dei dadi, rimase nella testa del ragazzo.

    Arrivati a Roma, lo salutò. Non si erano presentati durante tutto quel tempo, l’uomo disse il suo nome solo all’ultimo: Giorgio.

    Marco disse il suo, lo guardò andarsene e sorrise.

    Tornò alla sua solitudine e alla sua musica, capace di guarirlo.

    Quel giorno non faceva troppo caldo, a prescindere dall’aria condizionata. Si rimise le cuffie, e si perse nei suoi pensieri: accompagnati dalle note di un po’ di jazz, che lo rilassò.

    E chiuse un poco gli occhi, riposando.

  • Un Piromane in ferie – Parte 2

    ottobre 4th, 2020

    Link parte 1: https://loscittorevolante.wordpress.com/2020/09/26/un-piromane-in-ferie-parte-1/

    Era l’ultimo giorno che avrebbe passato in quella città, dopo tanti anni di studi, era arrivato per lui il momento di cambiare aria.

    Aveva appena ottenuto la laurea e dopo tanta gioia, per aver conseguito tale obiettivo, ora lo invadevano i dubbi sul suo futuro.

    Ogni cosa messa nella valigia e nello zaino, dal primo soprammobile, all’ultimo calzino, non faceva altro che sospirare.

    Aveva un fritto misto di emozioni: tra la nostalgia, l’abbandono di quella città che era stata casa sua per anni, insieme a molte persone conosciute durante tutti quegli anni… e il dubbi su cosa fare da quel punto in avanti.

    Certo, non era tutto dispiacere. Lasciare un posto pieno di difficoltà, e ricordi… alcuni che fanno male.

    Da troppo tempo che pensava al suo amore passato, ogni volta che andava a dormire ci pensava, quante volte aveva tenuto lei sotto quelle coperte? E ora non c’era più.

    E dopo tutto l’impegno che ci aveva messo, dopo tutto quello che aveva investito, sembrava non rimanesse nulla in mano.

    Era stanco dei sacrifici… quante volte gli era successo di impegnarsi tanto, e di avere l’impressione che tutto ciò che dava, non venisse ricambiato?

    Sentiva ancora il suo profumo nel naso, e la sua voce nelle orecchie.

    La dolce sinfonia che pronunciava con quella profonda dolcezza il suo nome: “Marco…”

    Era veramente tempo di andare via.

    Avrebbe dovuto lasciare quella stanza da molto tempo, ma era rimasto (almeno così diceva), perché era comunque una bella casa, stava bene coi coinquilini, comoda…

    Dentro di sé conosceva la verità: non era mai riuscito a separarsi da lei in modo definitivo.

    “Mi sono perso tra le virgole del tuo silenzio

    Cambio respiro proprio come un uomo in mare

    Sono diverso come il cielo del giorno seguente

    Ma all’appuntamento coi tuoi occhi io rimango uguale”

    (Don Diegoh – Tutto l’oro)

    Valigie pronte, un ultimo sguardo in giro per essere sicuro che fosse tutto pronto. Un ultimo saluto a quella scritta sul muro:” Sei proprio super…Marco”.

    Una foto fatta con il telefono, per tenersela come ricordo.

    La restituzione delle chiavi al proprietario, un abbraccio con i coinquilini amichevoli, e via: si tornava a casa: in realtà senza una ragione precisa, solo per cercare qualcosa che aveva perso. Che forse, alla fine, erano solo i pezzi di sé.

    Persi da qualche parte, non sapendo nemmeno dove cercarli… erano impossibili da ritrovare.

    “ E mi è scoppiata una bomba in mano, restano solo i perché

    E non so più dove cazzo andavo, ho sparsi pezzi di me …”

    (Coez – Pezzi di me)

    In fondo, andarsene era anche un sollievo andarsene via… il peso che sentiva sulle spalle, così come se ne andava via, diventava sempre più leggero.

    Se ne andava via dalla città del Toro, guardò verso il duomo, e quel cielo che aveva sempre ammirato per anni. Così diverso da quello Calabrese.

    Ogni tanto, bisognava pur vedere un cielo diverso.

    La risposta a ogni quesito, in quel momento per lui era uno solo “non lo so”. La confusione era totale.

    Ed era anche il momento in cui realizzava che nella vita, tutti i consigli possono essere buoni, ma solo la decisione che lo avrebbe fatto sentire in pace con sé stesso, sarebbe stata quella giusta.

    E via… Addio Torino. Chissà quando ci rivedremo.

    Andò nella stazione, continuava a sospirare, ad assaporare ogni secondo… prima di andarsene.

    Il treno arrivò, dopo il disagio causatogli dall’entrata nelle carrozze, e posare le valigie, si sedette vicino al finestrino, dove osservò il mondo fuori, con un’espressione malinconica.

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