Oggi recensisco l’ultima uscita di Egreen:”Nicolàs”.
Conosco il buon Fantini da diverso tempo, ed è sempre stato uno dei miei preferiti, grande penna, grande tecnica, e chiunque ami questa musica, dovrebbe ascoltarlo.
Oserei dire che quello che sto recensendo, potrebbe essere tranquillamente il migliore che io abbia mai ascoltato dei suoi (e li ho sentiti tutti).
Andiamo:
- Autobiografia.
Si capisce, ascoltando i pezzi, che questo non è un semplice album, questa è una autobiografia, è qualcosa di letteralmente viscerale. C’era la necessità, da parte dell’artista di crearlo e donarlo a noi.
Ci ha sempre raccontato di lui, ma questa volta sento tutto molto più profondo, radicato. Non so se è l’album se è la musica, se è lui.
O se sono io, che lo capisco di più, dato che il tempo è passato anche per me, e quindi mi trovo sempre di più nei panni di chi ascolto, di chi amo.
Quello che è già palese nell’album viene confermato anche dai suoi post:
“ Il disco è fuori. Non ho molto da festeggiare nè motivi per sentirmi sollevato. È stato necessario e basta. Ringraziare se non altro tutte le persone coinvolte nel bene e nel male in questi ultimi 20 della mia vita è doveroso. Grazie Matteo, sto disco è dedicato in gran parte a te. Grazie a chi ha lavorato fianco a fianco a me alla realizzazione di “Nicolás”. Vi voglio bene.
Appunto, era necessario.
C’è delusione, frustrazione, anche la voglia di smettere e di arrendersi. In “Incubi”, afferma di aver pensato di smettere con il rap.
Un po’ egoisticamente parlando, lo ringrazio per non aver preso questa decisione, chiedo scusa.
Bisogna riconoscere che non stiamo più ascoltando Egreen, ma, come da titolo:”Nicolàs”. Questa non è una storia diversa, raccontata in maniera romanzata. È la verità, è la sua vita, con tutte le difficoltà che ha affrontato negli ultimi due anni, che sono stati pessimi.
È una verità nuda e cruda, che viene ribadita in diversi pezzi.
È maturità, consapevolezza, crescita. Qua non si parla più di hip-hop o di gioco del rap, qua si parla della vita vissuta di un uomo, “diari di bordo” e incubi.
Non posso, se non in minima parte, immaginare il dolore dell’artista, il 2020 è stato pesante per tutti, me compreso, ma sembra che per lui, abbia giocato pesante.
2) Crescita.
Sto crescendo anche io, porca puttana.
Sono un po’ più giovane di Nicolàs, io ho 32 anni, ma negli ultimi tempi me ne sono capitate così tante che lo capisco perfettamente.
Non è il solo che sto ascoltando, che nei suoi testi mette queste tematiche, e anche queste sonorità.
Insieme a Moder e Don Diegoh, questo disco sarà (già è) la rappresentazione più adatta del mio umore, della mia crescita e consapevolezza.
Queste persone sono un po’ più grandi di me, ma io le capisco perfettamente, anche se hanno vissuto e vivono molte cose che mi aspettano, ancora.
Io li ringrazio tutti, ovviamente di più l’uomo per cui sto scrivendo la recensione.
La prima volta che ho sentito il disco, mentre stavo facendo la mia corsa quotidiana, ieri, di venerdì, ho pensato che avrei voluto dirgli:” grazie”. Questa musica è per me un grande sostegno, solo ascoltandola.
Lo sarà molto di più per chi la crea; la mia vera religione, i miei veri “santi”.
In fondo perché ci sono assenze di feat., in questo e in quello di Don Diegoh? Perché è l’artista che vuole raccontare di sé, come si faceva una volta, come ancora, molti artisti “underground”, o meno conosciuti fanno.
Sono cresciuto con questo tipo di rap, del resto. Ho visto che qualcuno notava l’assenza di collaborazioni, e il motivo è stato svelato.
3)Per pochi?
L’ho detto già nella recensione di “Addio, a domani”, che questi album, questi pezzi, non sono, secondo me, “per tutti”.
Mi commuovo ad ascoltarla ora, e quando avrò la loro, la sua età, e avrò vissuto un po’ di più, tornerò qui, e lo farò ancora di più.
Questo punto è sulla stessa lunghezza d’onda dei precedenti, forse farò un po’ di retorica, ma è chiaro che questi testi, sono per chi ha un certo bagaglio di esperienze.
Fossimo superficiali, potremmo dire che è “roba da depressi”, ovvero, non avrei prestato orecchio e amato ciò che ascoltavo.
E potrei anche dire, con banalità che i “ragazzini che ascoltano la trap”, non capiscono. È retorica, è noia, è banalità.
Ma come dice il Fantini;
“ It is what it is, ognuno è ciò che è
Tanto retorico quanto vero lo statement nel mio rap”.
E ancora:
“Non è più musica per gli altri
Ma la realtà di chi si sente dire ancora “È difficile amarti”
- Conclusione
Un altro disco che sento “mio”, un’altra volta, la musica mi accompagna nelle scelte della vita, nel cammino, nella crescita e maturità.
Un’altra volta sento la verità raccontata dalla musica che amo. Penso che forse ne ascolto troppo, ma non riesco a rinunciare.
Mi sembra anche offensivo dargli un voto, come ho fatto con altri, anzi, mi sa che smetto con ‘sta cosa.
“Mai, mai sono stato così sfinito
Mai, mai sono stato così impaurito”

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