“Prendetevi Anche il Cielo” – II°alba – Inizio.

ATTENZIONE: si precisa che, come altri racconti del blog (poesie incluse), questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a luoghi, eventi, reali (varie ed eventuali) è puramente casuale.

Dato che nessuna delle persone descritte esiste realmente, e quindi non vive le sperienze descritte. (Ovviamente).

Ogni #mercoledì vi porto:” Prendetevi Anche il Cielo”, un romanzo che è ambientato in Calabria, e parla proprio della regione, e di alcuni suoi problemi, come la mafia, il disagio giovanile e altro…

Avevo scritto questo libro per la prima volta nel “lontano” 2019, ho anche partecipato al “premio Graziano”, con esso, finendo nelle menzioni speciali.

Lo riscrivo da capo, come una specie di prequel de “Un Piromane in Ferie”. Infatti qui appare Valentino, personaggio che Compare verso la fine del suddetto.

Inizia tutto da qui.

Parte precedente: qui,

II°Alba Parte 1

“Nelle loro Mani”

Un caro amico, Enzo, che incontrai qualche anno più tardi, mi poneva spesso un quesito, al quale, per anni non sapevo cosa rispondere: <<se tornassimo indietro nel tempo, tornando i noi stessi di vent’anni, quindi, con la consapevolezza di ciò che succede in futuro, cosa faresti?>>

Ogni volta che me lo chiedeva, sapeva ormai che ripensavo a quel fatidico giorno in cui incontrai quelle persone.

Forse non sarei passato davanti a loro con la macchina, mentre tornavo a casa dal comune, ma sarebbe bastato quello per cambiare il mio intero futuro?

Quegli sguardi che mi scrutavano erano molto attenti, cattivi, ma anche… in qualche modo, ingenui, inconsapevoli.

Chi erano davvero quelle persone, che con tanta tranquillità ci minacciavano la vita, e mi facevano venire il grandissimo desiderio di essere da un’altra parte?
Avrei voluto combatterli, ma non sono certo un eroe dei film, un John Wick, sono solo Valentino. Non conosco le arti marziali, e non faccio neanche tutto questo sport. Tuttavia, avrei voluto combatterli eroicamente.

Ad un certo punto, uno di loro, il più grosso, con un taglio di capelli rasato ai lati, e alzati con il gel sopra, domandò:

  • Chi facimu? – Aveva proprio l’aspetto da classico tamarro calabrese.
  • Un lu sacciu… hanno visto le nostre facce, boh. – Disse un altro, che aveva un look in pieno contrasto con gli altri: una maglietta più grande di lui, jeans larghi e strappati. Aveva i capelli lunghi, tenuti da un fermacapelli, verso dietro.
  • L’ammazzamu? – Propose il tipo che mi aveva preso la carta d’identità. Mi sembrò che scherzasse, a me e a Benny si gelò il sangue un’altra volta.
  • Citu, basta! – Urlò quello che era più grande, sembrava il loro leader. Fece qualche passo in avanti, guardai di nuovo il suo volto, e notai un particolare che mi era sfuggito: aveva una cicatrice sul volto.

Si avvicinò, a me e mi guardò di nuovo. Sembrava che riflettesse su qualcosa. Immaginavo fosse un criminale, un assassino. Era capace di farci tutti fuori senza battere ciglio, eppure… mi guardava quasi con tenerezza, come se stesse insieme ad un piccolo nipotino. Non percepivo malvagità in lui.

Mi sentii un po’ rassicurato da quello sguardo:

  • Come hai detto di chiamarti?
  • Valentino! – Risposi, prontamente, quasi con entusiasmo.

Mi guardò negli occhi, profondamente, sembrava leggermi nell’anima. Sorridendo, mi mise la mano sulla guancia, mi fece una carezza, mi diede un buffetto, come se stesse parlando con un bambino. Forse, ai suoi occhi, apparivo tale.

  • Lasciamoli stare, andiamo.
  • Ma capo, ci hanno visto! E si parranu?
  • Non essere stupido. Ti pari ca chisti ca si stanu cagandu ncuallu parranu? – Poi, rivolgendosi a me, disse: – Tranquillo. Io sono “Zu Peppe” – si presentò. – Mi pari nu bravu guajjune. Parlerai?
  • Sugnu ciuatu, ma un sugnu pazzu. – Risposi io, quasi subito. Mi sentivo in qualche modo, come se fossi avvolto dall’abbraccio affettuoso di mia zia. In fondo era quello che quell’uomo voleva sentirsi dire… anche se non mi fidavo molto di quelli là. Erano veramente intenzionati a lasciarci andare?
  • Allura, a tia e l’amicu tua… e naturalmente, pure gli altri, vi lasciamo stare. Mi raccomando però, “sssh!” unn’addi vulari na musca!
  • Certo.
  • Si proprio bravu, fijjolu. Ci rivedremo.
  • Come?
  • Tranquillo, tranquillo…
  • Ha murutu. – Borbottai.
  • Ma tu no. – Replicò “Zu Peppe”, freddamente.

Senza dire altro, se ne andarono via, con molta calma, come se stessero tornando a casa dal ristorante.
Mi faceva paura come erano naturali: non temevano niente e nessuno, nemmeno un eventuale arrivo delle forze dell’ordine.

Era normale, però: in fondo il potere di creare scompiglio o pace era tutto nelle loro mani.

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