Altro prequel de:”Un Piromane in Ferie” , narrano le vicende di un Giorgio più giovane, quello che è (o sarà) il piromane. Un’adolescenza ribelle, strana, pazzesca e solitaria, in una Torino di qualche anno fa, nel passato.
ATTENZIONE: si precisa che, come altri racconti del blog (poesie incluse), questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a luoghi, eventi, reali (varie ed eventuali) è puramente casuale.
Dato che nessuna delle persone descritte esiste realmente, e quindi non vive le sperienze descritte. (Ovviamente).
Puntata precedente: ” Nostalgia“
(Siamo sempre nel capitolo: ” Il Muretto “
Quell’8 dicembre, dopo aver fumato, andavamo in giro per la città. Il tramonto e il buio arrivarono presto, la luce dei lampioni riempiva le strade. In giro c’era poca gente, ancora. E ne approfittavamo, perché potevamo fare danni.
Potevamo scrivere sui muri, potevamo spaccare su di essi le bottiglie, potevamo fare gli imbecilli.
Carlo mi insegnò a preparare una bomba molotov quel giorno. Non era affatto complicato, del resto.
Ed eravamo talmente pazzi che qualcuna che avevamo fatto, la buttavamo addosso a qualche edificio abbandonato.
Dentro di noi avevamo una rabbia che pensavamo di tenere sempre sotto controllo, facendo quelle cose; cioè senza mai fare violenza nei confronti di qualcuno direttamente, cercando di rilassarci, bevendo e fumando… ma la verità era che eravamo frenetici.
E la possibilità di bruciare qualcosa, ci faceva sentire potenti, come se avessimo ancora una scelta. Quei rumori erano le urla che non volevamo far uscire da noi, era il nostro modo per dire al mondo: << Stronzi, ci siamo anche noi!>>
Eravamo però tristi, vuoti, e cercavamo veramente di aggrapparci a qualcosa, pur di vivere, per non cadere nell’apatia, che poi ho conosciuto veramente fin troppo bene.
Ad un certo punto, Ofelia ci disse di seguirla, diceva che aveva un posto.
Ci incamminammo in una zona che aveva qualche casa abbandonata, strutture mai finite di essere costruite, piene di erba alta.
Entrammo in una grande casa abbandonata, che, alla fine, non era poi messa così male. Aveva tre piani, era ovviamente senza luce elettrica né altro.
Salviamo sulle scale, seguendo quella piccola ragazza, con le mani nelle tasche del suo giubbino, con il suo zaino pieno di spille punk, e una era con la falce e il martello.
Entrammo in un appartamento, ovviamente abbandonato anche quello, però era più sistemato e pulito di quanto credessi.
Io cominciai ad intuire dove eravamo.
- Ta da! – Ci disse Ofelia, allargando le braccia sorridendo.
- Cos’è questo? – Domandò Rebecca, confusa.
- Il mio rifugio. – Rispose l’altra.
Ofelia era la ragazza con la situazione familiare più complicata di tutti. Io sapevo perché passava tanto tempo con noi. Credo che io la conoscessi meglio di tutti gli altri.
Lei scappava spesso da casa sua: mi raccontava che la madre veniva pesantemente maltrattata dal padre.
E quella piccola ragazzetta, non poteva fare altro che scappare, perché di piangere era stanca da tempo.
Lei, in qualche modo era esente da maltrattamenti; il padre era benevolo con lei, ma questo non faceva altro che aggravare la situazione. Quella piccola, fragile, ragazza come poteva sentirsi, del resto?
Soffriva molto.
Mi resi conto di tutto quello, e non ho potuto fare a meno di sentire una fitta al cuore. Stavo male per lei, mi misi a piangere, senza accorgermene.
Del resto, chi non vuole il meglio per chi ama?
Mi sono chiesto spesso, però, che tipo di vita dovevamo svolgere noi, questi dimenticati. Se per lei avrei voluto qualcosa di più conformato alla società che tanto odiavamo?
Non lo so. Al tempo pensavo che qualsiasi cosa sarebbe stato meglio di quello. Vivere come una senzatetto, perché non si poteva sentire a casa, lì dove era cresciuta.
Eravamo tutti un po’ spiazzati, non credevamo alle nostre orecchie e i nostri occhi.
- Tu vivi qui, mò? – Domando Franco.
- No, raga. Solo quando la situazione diventa troppo… beh, troppo.
Rebecca la abbracciò, e Ofelia si mise a ridere allegra, come per comunicarci che non ci dovevamo preoccupare.
In quelle situazioni io, mi sentivo il sangue ribollire: avrei voluto prendere il padre della mia amica, anzi, sorella, e dargliene tante.
Era lì dove mi sentivo impotente, ed era lì il posto in cui avrei voluto urlare contro la società, contro quel mondo che sembrava proprio non facesse un cazzo per persone come noi. Ne dicevano tante, e ne dicono ancora, sembra che ci siano mille cose pronte ad aiutarti, ma non è vero.
C’era un egoismo dilagante, tutti moralizzavano, nessuno faceva niente. La verità è che si ha paura. Di cosa? Della verità stessa.
Ce l’avevamo con quella società che causava cose e casi simili, era quella la nostra rabbia repressa.
- Bel posto! – Disse ad un tratto Carlo, guardandosi intorno.
- Grazie, l’ho sistemato per bene.
- E allora, Ofì, se ci hai portato qui un motivo c’è, no?
- Certo!
- Questo sarà il NOSTRO rifugio.
Un lampo di luce ci colpì, nelle nostre menti. Ofelia non voleva certo restare sola, quella non era la sua casa, ma sarebbe stata la nostra.
Continua domenica prossima…
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Una replica a ““La Miccia” – Episodio 4:”Il Rifugio””
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